Quella Notte Non È Mai Stata Mia
- Maddalena Mizzoni
- Feb 19
- 3 min read

Non ho mai fatto la maturità.
Non ho mai vissuto la tensione elettrica della prima prova, l’ansia che si scioglie nelle risate nervose durante l’intervallo, l’euforia di chi sa che sta attraversando un passaggio irreversibile. Non ho mai provato la leggerezza del dopo, quando ci si guarda negli occhi e si capisce che sì, è finita per davvero, che si è stati insieme fino a quel punto e poi ognuno prenderà la sua strada.
Me ne sono andata prima.
Non per insofferenza o rifiuto. Il classico mi piaceva. C’era una bellezza rigida nel tradurre un testo antico, nello sforzo di far rivivere un pensiero vecchio di duemila anni. Mi affascinava l’idea che tutto fosse già stato detto, già stato pensato, già stato vissuto e che a noi spettasse solo il compito di comprenderlo. Ma il mio posto non era lì. O forse sì, ma non del tutto.
A sedici anni ho lasciato l’Italia e sono finita in Francia. In una scuola internazionale, in un mondo dove nessuno aveva radici solide, dove ogni identità era un compromesso. Lì la maturità era solo un pezzo di carta, non un rito. Nessuna retorica, nessun passaggio collettivo all’età adulta, nessuna notte prima degli esami che diventava mito.
E a volte mi manca.
Mi manca la certezza di avere un punto in comune con tutti, un ricordo che si intreccia con quello di milioni di altre persone. Mi manca non poter dire quando ho fatto la maturità e vedere negli occhi di chi mi ascolta la comprensione immediata, il tacito accordo che unisce chi è passato da quella stessa tempesta. È strano, in Italia, non avere una storia da raccontare su quella settimana di giugno. Ti fa sentire un’ombra sul bordo di una foto di gruppo, qualcuno che c’era ma non abbastanza.
L’italiano è rimasto la mia lingua madre, ma non la lingua in cui vivo. L’inglese è diventato quella in cui scrivo, in cui costruisco, in cui mi sento leggera. Il francese è quella dell’istinto, dell’insofferenza e del caffè bevuto troppo in fretta.
E io sono rimasta nel mezzo, in quell’ibrido senza geografia, né radici precise.
La verità è che non appartengo a nessun posto. O forse appartengo a troppi.
Quando torno in Italia e mi chiedono che maturità hai fatto?, la mia risposta non è mai giusta. Vedo negli occhi degli altri quella sottile incomprensione, quel vuoto che dice allora non sei davvero dei nostri. L’Italia è un paese che riconosce solo le sue regole, le sue tappe, le sue liturgie. Se non hai fatto la maturità, allora cosa hai fatto? Se non hai attraversato il fuoco, sei davvero passato oltre?
E poi c’è questo blog, aperto da mesi, e questa è la prima volta che scrivo in italiano.
Forse perché l’italiano è la lingua che mi conosce troppo bene. È quella in cui ho detto le mie prime paure, in cui mi hanno ferita, in cui ho imparato a difendermi. Scrivere in italiano è un atto di resa, come ammettere di avere ancora un posto da cui vengo, anche se non so più se ci appartengo davvero.
Dicono che la maturità sia il primo esame della vita. Ma io non credo agli esami. Non c’è un giorno in cui diventi adulto, non c’è un momento in cui sei pronto. C’è una scritta su un palazzo di Via Merulana a Roma:
“Siamo passati a prenderci un pezzo di mondo, ma senza capire dov’era l’uscita.”
E a volte penso che il problema sia proprio questo. Che passiamo la vita a cercare una stanza in cui stare, un senso in cui abitare, un’identità che ci restituisca un nome definitivo.
Ma io un’identità definitiva non ce l’ho.
E non so se è un difetto o un privilegio, se è una forma di libertà o solo un modo più elegante di essere soli.
Non ho mai fatto la maturità, ma ho dovuto essere matura molto prima. Ho dovuto imparare a perdermi senza mai davvero ritrovarmi. Ho dovuto capire che il concetto di casa è un’illusione, che la cultura non è una prigione ma una porta che puoi sempre lasciare socchiusa.
Forse la maturità non è un voto.
Forse è accettare che nessuno ti conoscerà mai davvero. Che sarai sempre un mosaico di versioni di te che gli altri coglieranno solo a metà.
Io ho iniziato a perdermi a sedici anni.
E non ho mai più smesso.
Comments