Amori che Scricchiolano
- Maddalena Mizzoni
- Sep 7
- 2 min read

C’è un momento specifico in cui un oggetto smette di essere oggetto e diventa misura del tempo. La mia casa sull’albero, per anni, è stata questo: un luogo che non serviva più a nulla e proprio per questo continuava a esistere come memoria sospesa. Mio nonno l’aveva costruita per me quando ero bambina. Ero troppo piccola per ricordare il giorno preciso, il rumore dei chiodi oppure il disegno che aveva in mente. Quello che ricordo con nitidezza estrema è l’orgoglio che provavo quando dicevo di avere una casetta che qualcuno aveva costruito apposta per me, mi faceva sentire speciale sapere che qualcuno avesse deciso che io meritavo un rifugio sospeso, un punto segreto da cui guardare il mondo. Nessun gesto, dopo, mi ha più dato quella stessa certezza: essere stata pensata così a fondo da trasformare un albero in una casa.
Col tempo la casetta è diventata invisibile. Restava nel giardino come un’isola dimenticata: c’era, ma la mia vita le passava accanto senza più toccarla. Le cose che non smettono di esistere imparano a vivere nell’ombra. Anche un amore, quando dura a lungo, diventa trasparente.
Poi mia madre, distrattamente, qualche giorno fa mi ha detto che uno dei tronchi che la reggono si è indebolito. “Non salirci più” ha detto. Le sue parole pratiche e neutre, si sono trasformate in un terremoto dentro me. Ho visto crollare non solo la casa, ma le stagioni che conteneva. Non era più l’albero a scricchiolare: ero io.
Quella casetta era la forma concreta dell’amore di mio nonno e vederla vacillare significava riconoscere che anche l’amore ha una materia e che questa materia può cedere. La mia infanzia, la mia sicurezza, l’illusione che qualcosa potesse restare immobile: tutto ha iniziato a inclinarsi con lei.
È in quel momento che ho capito qualcosa di me che non volevo dire ad alta voce. Io riconosco il valore delle cose solo quando iniziano a dissolversi. Ho capito che è una regola che plasma ogni mio gesto. Gli oggetti diventano preziosi nel momento in cui li perdo. Le persone diventano indispensabili quando se ne vanno. Perfino l’amore prende peso solo quando manca. È come se la presenza fosse troppo leggera, e solo il vuoto sapesse imprimere la sua forma nella memoria.
E allora sospetto di me stessa. Forse mi creo da sola gli ostacoli, i crolli, le perdite. Forse il dolore è la mia unità di misura, l’unico modo in cui riesco a convincermi che ciò che ho vissuto è stato reale. Come se senza la ferita non potessi credere alla carezza. Come se l’assenza fosse l’unica prova dell’amore.
Penso che tutti abbiamo una casa sull’albero: un luogo costruito per noi da qualcuno che ci ha amati, e che un giorno ci appare fragile, inclinato, in procinto di cedere. In quel momento non guardiamo più solo l’oggetto, ma l’intera architettura invisibile che lo sostiene: memoria, perdita, paura. È lì che capiamo che non esiste amore senza la possibilità di perderlo.
Io resto sotto quell’albero, con lo sguardo rivolto in alto. La casa continua a reggere, ma non più per me. Eppure è proprio così che mi parla, nella sua precarietà. È diventata una città sospesa: non ci si può vivere dentro, ma non si smette di viverla.



Come dicevano i Baustelle:" perché il tempo ci sfugge
Ma il segno del tempo rimane"